MICHELE CIRCIELLO (1944)
Quanto il fascino del promontorio del Gargano sia stato determinante per la fisionomia artistica di Michele Circiello non è difficile capirlo, se si considerano le tappe pittoriche, le motivazioni profonde di una ricerca interessante e coraggiosa.
L’odierna tematica delle opere del Circiello è originalissima e s’impernia sostanzialmente su una scelta specifica: l’ambiente naturale e l’uomo, che in questa realtà è vissuto, perfettamente integrato in essa. E un punto d’arrivo, una meta raggiunta, ma anche la base per nuovi avvii, per ricerche più specifie, per fissare traguardi nuovi.
Michele Circiello, allievo del maestro Cantatore, esordiva negli anni ‘70 con una pittura essenzialmente figurativa. I temi erano legati alla realtà ambientale, sociale in ispecie. Preso in esame, infatti, il paese del Subappennino, Circielio focalizzava la vitalità umana del piccolo centro, estraendo quei valori morali, sentimentali e poetici, ancora caratterizzanti l’ethos locale. L’indagine si soffermava altresì sulla pesante crisi economico-sociale, che aveva colpito i paesi montani della Daunia e che aveva determinato una massiccia emigrazione di quelle forze ancora valide, uomini e giovani, che avevano, che avevano abbandonato l’infruttuoso lavoro dei campi. Emergevano nelle tele quegli sguardi vaghi, sottilmente languidi delle donne, dal volto aggrinzato di mestizia per il marito lontano, per il figlio assente. Tuttavia si leggeva su quei volti anche l’eroica attesa di un ritorno, la dignitosa forza morale, la rassegnata accettazione di un destino insospettato.
Sono opere di indiscusso valore poetico quelle tele, pregne altresì del giovanile entusiasmo del Circiello per i problemi della propria terra, ma sono anche documenti di un disagio sociale, una denunzia della realtà ambientale. Quelle opere costituiscono il primo aspetto della poetica circielliana: il legame serrato, profondo, indissolubile dell’artista con il suo ambiente, per cui l’indagine, sia essa concreta o speculativa, deve esaurirsi prevalentemente nel proprio ambito territoriale, paesaggistico, socio-culturale.
Nell’anno scolastico 1973/74 Michele Circiello, quale docente di educazione artistica nelle ScuoMedie, riceve l’assegnazione della cattedra a Vieste. Qui, inizialmente disambientato, pare che abbia esaurito la sua vena artistica. Dopo qualche mese, però, il Gargano, quest’aspra penisola dauna dalla natura incontaminata, lo conquista. Non poteva essere altrimenti per un animo sensibile, che suole scuotersi finanche per un modesto cespo d’erba.
Il Gargano, lo Sperone d’Italia, che giganteggia fra la distesa del Tavoliere e l’Adriatico, seduce — sia detto per inciso — per le sue rocce cavernose, per il disteso ammanto arboreo (si pensi alla così detta Foresta Umbra), seduce per l’immensità dei suoi orizzonti, per la dimensione reale che si fa trascendente quando lo sguardo con impercettibile motilità trascorre dal mare, o dalla caligine della piana dauna, al cielo. Il contraddittorio, l’antitetico sembra essere la norma sul promontorio dauno: così la natura riceve la lieve carezza di zefiro, ma anche le gelide sferzate della bora, il ridente solleone d’estate e il freddo manto nevoso d’inverno. L’ambiente è, però, ricco di fascino e perfino di un non so che ascetico, di mistico: la grotta dell’Arcangelo Michele e gli antecedenti culti pagani, come il rito podalirico dell’incubazione, ne sono un chiaro attestato. Il Gargano è depositario altresì di tracce eloquenti del più lontano capitolo della storia dell’uomo, anzi della sua preistoria. La grotta Paglicci, per esempio, è tra i più importanti siti paleolitici d’Europa: ha restituito le ossa di “nonna Alarda”, vissuta 24.000 anni fa, numerosi reperti litici ed ossei, molti incisi, e le pitture, tra le più antiche d’Italia, di rilevante interesse.
Michele Circiello nei brevi pomeriggi invernali, nelle ariose domeniche primaverili diventa erabondo, osserva la natura incontaminata, gusta l’elegia del paesaggio, si sofferma su quei segni di vita vegetale, su quegli aspetti diremmo minori, come una crepa, una venatura, una muffa, un ciuffo di licheni, una macchia di muschio. Circiello diventa cosi l’accertatore di tracce.
Di quali tracce!? Quelle del tempo e dell’uomo. Trasferisce sulla tela con un tocco di eleganza con una sintesi efficacissima quelle note paesaggistiche del Gargano per ambientare le gesta, le vicende di caccia dei suoi omini preistorici, essenzializzati da semplici tratti, ma vivi e scattanti al pari della fauna coeva. L’immaginazione dell’artista, quindi, anima, integra l’habitat naturale del promontorio dauno. E‘ la prima fase di questa svolta artistica circielliana.
Ben presto l’accertatore di tracce non s’appaga più della rappresentazione della realtà gargani ma, in linea con le istanze più recenti dell’arte moderna, interviene nella natura stessa, sulla roccia stessa, senza forzature, proponendo quindi, anche l’arte del gesto. Con gessetti e pennarelli aggiunge il suo tratto delicato e discreto, marca o allunga la crepa, disegna l’omino, stinge il grigio calcareo della pietra Nasce così la “fotopietra”, la foto — non più la pittura ad olio soltanto — la foto che ritrae l’intervento pittorico sulla roccia e l’artista stesso: è estetico ciò che fa l’artista, il suo gesto e non soltanto la riproposta della realtà ambientale.
Parallelamente la tela del Circiello si arricchisce dal punto di vista materico: la tecnica si fa mista e ingloba sabbie, schegge e sassolini della zona. E‘ questa la seconda fase “garganica” dell’attività artistica del Circiello.
Intanto il legame di filianza con questa Terra aspra, ma ricca di fascino, diventa sempre più stretto. Michele Circiello ricerca, ricerca ancora, ricerca e trova le tracce dell’uomo preistorico e protostorico: nascono così le stele, liberamente ispirate a quelle sipontine del Museo Nazionale di Manfredogna.
La ricerca del Gargano continua, orientata sull’uomo troglodita della preistoria e del medioevo. Circiello scopre così le chiese rupestri (un patrimonio artistico in rovina) e coglie le visioni di quegli affreschi mistici, di quelle icone ancora solenni, pur nel loro stato frammentario. L’umidità ha stinto le immagini sacre, che, in perfetta simbiosi con l’ambiente, presentano un manto cromatico insolito, trapunto di muffe vive, di ossidi variegati, di concrezioni calcaree. Nascono così, sempre in tecnica mista, le icone e le “lunette” circielliane, che ripropongono non solo, non tanto le immagini sacre in se, quanto la suggestività, la poesia del loro stato reliquiale.
L’aspirazione del Circiello è altresì l’esposizione delle sue opere in un ambiente naturale, in un sito archeologico, confacente ai temi trattati, così che l’osservatore possa cogliere la continuità tra passato e presente e la simbiosi tra ambiente ed opere. Il pittore punta l’attenzione sulla necropoli rupestre della Salata, detta anche di Merino, in territorio Viestano.
Definita dagli studiosi una delle aree archeologiche più suggestive e monumentali del Gargano paleocristiano, la necropoli è sita ad 8 Km dall’abitato odierno e a poche centinaia di metri dai ruderi dell’antica Merinum e dal santuario mariano omonimo. L’incanto del luogo si spiega per l’interesse dell’area archeologica, ancora pregnante di religiosità cristiana, si giustifica per la vaghezza del mare, per l’odorosa macchia mediterranea, che riesce ad addolcire l’asprezza dei costoni rocciosi. Connotano la necropoli centinaia di tombe e diversi ipogei, che presentano una rete fittissima di loculi alle pareti, pausate da eleganti arcosoli.
Nell’estate 1988 Michele Circiello allestisce così negli ipogei di Merino la sua personale pittorica e scultorea. E‘ un successo! Le opere non turbano il silenzio venerando del luogo, tuttavia riescono ad animare la necropoli, che pare abbia scosso il suo torpore millenario, restituendo dai tempi storici e preistorici immagini larvali di uomini e di santi.
Leonardo De Luca
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