Mino Maccari (Siena 1898 - Roma 1989).
Nasce il 24 novembre 1898 in una famiglia della piccola borghesia senese. Fin da piccolo estroverso e dotato di una vivace intelligenza visiva, è portato verso il disegno libero con il carboncino, ma il padre, professore di lettere, cerca in tutti i modi d‘indirizzarlo verso studi umanistici. Completati gli studi secondari si iscrive all‘università. Interventista come molti giovani del suo tempo, partecipa a soli diciannove anni come ufficiale di artiglieria di campagna alla Grande Guerra.
Alla fine del conflitto riprende a Siena gli studi universitari e nel 1920 si laurea in giurisprudenza; inizia a lavorare presso lo studio dell‘avvocato Dini a Colle Val d‘Elsa, di dove era originaria la famiglia e dove aveva trascorso l‘infanzia presso i parenti; nel tempo libero dal lavoro si dedica alla sua vera passione: la pittura.
Sono questi momenti, fuori da schemi prefissati, nei primi tentativi con la pittura e l‘incisione, dove sente di più l‘esigenza di dare un senso alla sua vita. Questo periodo molto tormentato del primo dopoguerra trova in Maccari terreno molto fertile per il suo carattere vivace, beffardo e polemico, che lo porta sia a partecipare agli scontri sociali nel paese, sia come personaggio non secondario alla marcia su Roma del 1922.
Nel 1924 viene chiamato da Angiolo Bencini a curare la stampa della rivista Il Selvaggio, dove gli vengono pubblicate le sue prime incisioni. Dopo alcuni anni di convivenza tra lavoro al giornale e lo studio legale, agli inizi del 1926 lascia la professione forense per assumere la direzione del Selvaggio che terrà fino al 1942.
Il Selvaggio, dichiaratamente filo-fascista finanziato fin dalle prime pubblicazioni dal più becero e retrivo squadrismo agrario, sotto la sua direzione almeno dal punto di vista formale modifica certi atteggiamenti provocatori, dopo una breve lotta interna per una normalizzazione voluta anche da Benito Mussolini dopo il delitto Matteotti.
Sarà Maccari stesso a pubblicare, nell‘articolo di fondo intitolato "Addio al passato", il nuovo indirizzo del Selvaggio, che non intende più essere l‘esempio di un fascismo squadristico, ma una rivista che deve dedicarsi all‘arte, alla satira e alla risata politica, seguendo una tradizione paesana e beffarda all‘apparenza ma in realtà sottilmente colta e normalizzatrice.
Con il trasferimento della redazione del Selvaggio nel 1925 da Colle di Val d‘Elsa a Firenze, Maccari collabora con Ardengo Soffici, Ottone Rosai e Achille Lega. Nel frattempo, negli anni che vanno dal 1927 al 1930, si fa conoscere al grande pubblico come pittore partecipando a varie mostre nazionali.
Sempre nel 1930 Maccari lavora a Torino a La Stampa come caporedattore e ha come direttore lo scrittore Curzio Malaparte.
La sua presenza nel mondo culturale ed editoriale del regime fascista è molto intensa, scrive e collabora a diverse riviste: Quadrivio, Italia letteraria, L‘Italiano e Omnibus di Leo Longanesi; poi, durante la guerra, su il Primato di Bottai e, successivamente ancora, su Il Mondo di Pannunzio, fino a Documento di Federigo Valli.
Vasta anche la sua produzione grafica che va da l‘Album di Vallecchi (1925), Il trastullo di Strapaese (1928) a Linoleum (1931). Maccari illustra nel 1934 La vecchia del Bal Bullier di Antonio Baldini e nel 1942 pubblica la cartella Album, cui seguono Come quando fuori piove e Il superfluo illustrato.
Per la sua opera pittorica ricca di evidenti accentuazioni cromatiche e pennellate veloci, il disegno violento unito al tratto vivo del segno grafico delle sue incisioni, viene riconosciuto dalla critica artista completo. Nel secondo dopoguerra continua ancora ad acquisire riconoscimenti, merito di un prolifico lavoro creativo a presentare alcune mostre personali, nel 1962 gli viene anche affidata la presidenza dell‘Accademia di San Luca e riesce ad ottenere una mostra personale alla Gallery 63 di New York City.
Dopo una vita passata sempre al centro dell‘attenzione, organizzatore di roventi e contradditori dibattiti sulla cultura del secolo scorso, con il suo ultimo sorriso beffardo e canzonatorio disegnato sul volto, muore senza grandi clamori, in silenzio, novantenne, a Roma il 16 giugno 1989.
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