Giorgio de Chirico: il pittore nacque a Volos in Grecia il 10 luglio 1888 da genitori italiani e morì il 20 novembre 1978 a Roma dopo aver unificato in un unico periodo, definito metafisico i temi e gli stili degli ultimi dieci anni della sua attività.
Le origini e la formazione
Il padre Evaristo de Chirico, ingegnere aveva ricevuto l‘incarico di progettare la costruzione della ferrovia in Tessaglia. I frequenti spostamenti della famiglia tra Volos e Atene diedero origine al tema del viaggio e ai contrasti evocativi tra la Grecia antica e quella moderna che ispirarono la successiva opera di de Chirico. Giorgio e il fratello Andrea che nel 1912 adottò lo pseudonimo di Alberto Savinio, ricevettero un‘ istruzione approfondita basata sulla storia antica, le lingue e la mitologia greca. Alla morte del padre, nel 1905, la formazione dei fratelli fu guidata dall‘ambiziosa madre Gemma Cervetto. Dal 1903 al 1905 de Chirico studiò pittura al Politecnico di Atene con Gerge Jacobides, di cultura tedesca. Completò gli studi all‘Accademia di Belle Arti di Firenze negli anni 1905-06 e all‘Akademie der Bildenden Kunste di Monaco, dal 1906 al 1910, dove subì l‘influenza dei simbolisti tedeschi Max Klinger, Hans Thoma e soprattutto Arnold Bocklin. Nel 1910 si stabilì a Parigi, dove conobbe Guillaume Apollinaire, M. Jacob e Pablo Picasso ed elaborò la pittura metafisica, ove tutto il suo repertorio di enigmatici oggetti e visioni dai manichini alle piazze d‘Italia, si colloca in uno spazio impossibile, perchè aprospettico e infinito. Le forme sono spesso assimilate a volumi geometrici a cui non è estraneo l‘influsso cubista e si pongono come simboli arcani.
L‘Italia e Parigi
Nel Febbraio 1910 Savinio si recò a Parigi, mentre de Chirico ritornò in Italia, stabilendosi prima a Milano e in seguito a Firenze. Nel corso di una lunga malattia studiò gli scritti di Arthur Schopenauer e Friedrich Nietzsche e creò i primi dipinti autonomi rispetto all‘influsso di Bocklin. Nel luglio 1911 insieme con la madre, seguì Savinio a Parigi, facendo tappa a Torino, la città che aveva visto l‘insorgere della follia in Nietzsche. Al Salon d‘Automne del 1912 de Chirico espose per la prima volta le sue immagini malinconiche di piazze urbane, popolate di monumenti solitari e racchiuse da ciechi porticati. Infrangendo i canoni della prospettiva tradizionale e del modellato illusionistico creò spazi sconcertanti e strane giustapposizioni di oggetti evocanti realtà inquietanti e metafisiche. Verso la fine del 1914 introdusse l‘iconografia del manichino, influenzato dalla poesia e dal teatro di Savinio e di Guillaume Apollinaire.
La pittura metafisica
Nel 1915, all‘entrata in guerra dell‘Italia, i fratelli furono destinati entrambi a Ferrara, dove conobbero i poeti Corrado Govoni e Filippo de Pisis e nel 1917 il pittore Carrà. In occasione di un loro ricovero all‘ospedale militare di Villa del Seminario, Carrà subì la profonda influenza di de Chirico e insieme contribuirono allo sviluppo della pittura metafisica. De Chirico raffigurò una serie di interni claustrofobici colmi di oggetti stravaganti: biscotti, mappe e telai, mentre i manichini furono dotati di una nuova monumentalità e posti sullo sfondo di vedute ferraresi, come nel "Grande metafisico" del 1917.
La prima personale
Alla fine della guerra formulò la sua teoria della pittura metafisica e del ritorno al classicismo in numerosi scritti, prendendo le distanze da Carrà. Molti dei suoi saggi apparvero sulla rivista "Valori Plastici" del 1918-22 di Mario Broglio; il periodico romano si fece inoltre portavoce del programma per un nuovo classicismo italiano. La prima mostra personale, allestita alla Galleria Bragaglia nel 1919, ispirò a Roberto Longhi la sarcastica recensione "Al dio ortopedico".
Il virtuosismo tecnico
Nel quinquennio seguente de Chirico tornò a temi mitologici sotto l‘influsso di Bocklin e dei maestri del Rinascimento. Il virtuosismo tecnico, di cui aveva già dato prova nel periodo ferrarese, giunse al culmine negli autoritratti e nell‘articolo "Il ritorno al mestiere" pubblicato sulla rivista i "Valori Plastici" nel 1919. Nel 1924 l‘artista ritornò a Parigi, attirato dall‘ammirazione per la sua opera espressa da André Breton e dai surrealisti; ben presto tuttavia nacquero divergenze tra i suoi intendimenti artistici e la loro interpretazione freudiana sulla sua opera.
L‘affermazione
Il favore di cui il "primo" de Chirico godette da parte di Breton, con l‘esclusione dei dipinti successivi ha pesato considerevolmente sulle valutazioni critiche. Tuttavia fu proprio il secondo periodo parigino ad affermare definitivamente il nome di de Chirico. A metà degli anni Venti sposò l‘attrice russa Raisa Gurevich Kroll, che in seguito studiò archeologia alla Sorbona con Charles Picard. Nel corso degli anni Venti de Chirico riconsiderò il tema del manichino, ora composto da elementi architettonici fantastici e avviluppato in pennellate suggestive. Sviluppò i nuovi cicli dei "cavalli sulla spiaggia" e dei " gladiatori", figure di combattenti in interni chiusi. Quest‘ultima serie culminò nella "Sala dei gladiatori" realizzata per la casa di Léonce Rosenberg negli anni 1928-29.
Artista completo
Nel 1929 pubblicò il romanzo "Hebdomeros", un capolavoro della letteratura surrealista. Nel 1931 conobbe Isabella Pakszwer Far che divenne sua seconda moglie. Negli anni Trenta de Chirico divise la sua attività tra Parigi e l‘Italia; nel 1933 dipinse il museo dedicato alla "Cultura italiana" purtroppo andato distrutto, e per la Triennale di Milano disegnò scene e costumi per il teatro, ad esempio quelli per "I puritani" di Bellini al primo Maggio musicale fiorentino. Nel 1934 completò una serie di litografie per Mythologie di Jean Cocteau, che diedero origine alla serie dei "bagni misteriosi". Dopo un soggiorno negli Stati Uniti, dal 1935 al 1937, nel 1944 si stabilì a Roma. Svolse anche attività di scenografo, firmando tra l‘altro i bozzetti per "La giara" del 1924 e per "La figlia di Jorio" del 1934.
De Chirico conservatore
A partire dalle fine degli anni Trenta le sue opere parvero riflettere un gusti più conservatore: cominciò a ripetere molti dei suoi rinomati soggetti metafisici. Nei due decenni che seguirono continuò la ricerca sulle tecniche pittoriche, mescolando emulsioni brillanti di sua creazione che facilitavano le ricche pennellate delle nature morte "barocche" e degliautoritratti in costume. Nello stesso periodo diede origine a controversie producendo copie e varianti dei primi capolavori, enfatizzando con ciò stesso il primato dell‘idea rispetto alle sue varie realizzazioni. La situazione fu ulteriormente complicata dal fatto che retrodatò alcune opere e dalla presenza di veri e propri falsi in alcune retrospettive tenute nel dopoguerra.
Opere rilevanti
De Chirico deve la sua fama a un corpus di circa 120 dipinti che realizzò in meno di un decennio tra il 1911 e il 1919. La sua produzione successiva, per quanto interessante porta il marchio del dopo. "Le muse inquietanti" appartenenti alla collezione Mattioli di Milano;Il "Trovatore" situato nella Galleria d‘arte moderna a Venezia, Bagni misteriosi del 1934-35.
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