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ONGARO ATHOS
 
ARTISTA OPERE MOSTRE IN ASTA
 

Athos Ongarom VENEZIA, 1947 L‘arte di Ongaro può apparire ironica e accattivante, ma mantiene una quota di ambiguità che resiste a qualunque interpretazione. Nelle sue opere si assiste a una messinscena inesauribile, in cui fanno la loro comparsa figure afferenti alla civiltà minoica, alla mitologia classica, al cristianesimo, al manierismo, al neoclassicismo – ma anche al liberty, al minimalismo, al mondo delle fiabe e dei cartoon americani, elementi sempre riletti in una chiave inedita, spesso irridente, solo in apparenza irriverente. Che siano sculture, bassorilievi, mosaici o pitture, le opere di Ongaro sanno dare vita a un universo di senso stratificato, pieno di rimandi difficilmente decifrabili, ma di grande impatto: ambigui bonzi sorridenti fanno il paio con dipinti ispirati a visioni cosmiche, paesaggi da sogno sono abitati da personaggi di inquietanti cartoni animati. Ma ovunque resta sempre schiettamente presente un confronto a tu per tu con i materiali, le tecniche, la manualità, che toglie ogni dubbio e che calma l’incertezza intellettuale. Ogni suo pezzo è proprio questo: un talismano, un oggetto dotato di un potere magico, anzi taumaturgico, che tocca l’anima ammalata, e la guarisce. Nei grandi spazi seminterrati del centro Pecci dedicati storicamente alla Collezione, e recentemente a mostre personali temporanee, verranno dislocati i grandi quadri a olio a tema cosmico (tutti realizzati a partire dalla "svolta” pittorica del 2000), unitamente alle sorprendenti opere scultoree in vari materiali dei due decenni precedenti (mosaici, bronzi, marmi e legni). La prima questione che le opere – e segnatamente le sculture – di Ongaro sollevano con forza è quella del ruolo del classico nel nostro bagaglio iconografico: opere imponenti, realizzate fra l’altro nel tipico marmo statuario a cui basta uno sguardo appena più attento per capire che il classicismo a cui sembrano ispirarsi va in frantumi prima ancora di poterlo anche solo visualizzare appieno. Dovunque si volga l’attenzione, nelle sue opere tutto ciò che allude al classico paradossalmente anche lo smentisce, lo chiama in campo e insieme lo scredita, ne tesse l’elogio solo per svergognarlo. Che facciano quindi il loro ingresso, per esempio, efebiche fanciulle dall’ambiguo erotismo in pose plastiche ma con forme appena accennate avvinte dall’abbraccio furbescamente ammiccante di un babbuino abbrancato alle calcagna.

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1000 Miglia 15-05-2014..
 
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RENATO CHIESA